Rugby, la Nuova Zelanda si conferma sul tetto del mondo: 34-17 all’Australia

Per la prima volta una squadra raggiunge quota tre successi totali nell’albo d’oro della Rugby World Cup, per la prima volta riesce il back-to-back in due edizioni consecutive della competizione. Non poteva che essere la Nuova Zelanda a centrare questi due record, confermando così il proprio ruolo di nazione guida del movimento rugbistico internazionale. Nella finale disputata oggi nel tempio di Twickenham, gli All-Blacks si sono imposti 34-17 sugli eterni rivali dell’Australia, un punteggio netto che rispecchia anche l’andamento della partita, nella quale i tutti neri hanno avuto il competo controllo delle operazioni per almeno 60 degli 80 minuti.

Fin dai primi minuti infatti la Nuova Zelanda ha preso il controllo del match. Predominio soprattutto fisico quello degli All Blacks che vincono praticamente tutti i confronti nei punti d’incontro, hanno una netta supremazia in ruck, recuperano molti palloni e tengono costantemente sotto pressione nella loro metta campo i Wallabies. Il piazzato di Carter dopo 8 minuti è quindi il naturale corollario a questa situazione. L’Australia però soffre con grande lucidità in questa fase. Non riesce praticamente mai a entrare nella metà campo neozelandese, però non si scompone in difesa, tiene bene sospinta da un grandissimo Fardy e fa le scelte giuste. Così riesce a sfruttare l’errore di Franks, che concede una penalità in una situazione di mischia chiusa e Foley ne approfitta per il 3-3. La chiave del gioco è comunque Carter. L’apertura, che sarà nominato man of the match, non incide solo con il suo straordinario piede, ma in tutte le fasi di gioco, compresa quella difensiva, dove non si astiene dal placcare quando occorre, e questo nonostante il trattamento particolarmente energico riservato a lui dall’Australia, con Kepu che si fa sentire con tackle al limite se non oltre il regolamento. E infatti al 27′ il pilone viene sanzionato e Carter infila il 6-3. Mentre Giteau è costretto ad abbandonare la contesa per una commozione cerebrale, il baluardo difensivo australiano inizia a cedere. Dapprima le crepe si vedono nella disciplina, con Carter che può infilare altri 3 punti per un fuorigioco Wallabies, ma poi la diga cede completamente di fronte a una splendida azione neozelandese, puro All-Blacks style, fatta di potenza ma anche di tecnica, con gli scarichi che partono con i tempi giusti, palle controllate perfettamente e gioco allargato a trovare il buco nella difesa. Così Conrad Smith trova l’omonimo Aaron che serve McCaw, palla sull’out di destra per Milner-Skudder e l’ala marca così la sua sesta meta in questa edizione del torneo. Carter converte la trasformazione quando il tempo è già rosso e così si va al riposo con la Nuova Zelanda che è riuscita a dare la spallata sul 16-3.

Durante l’intervallo Hansen opera un cambio: toglie Conrad Smith e mette Sonny Bill Williams e dopo neanche 120 secondi la mossa viene ripagata. Proprio il subentrato infatti fa la giocata decisiva che lancia Nonu verso una corsa di 30 metri che si chiude con la seconda meta della Nuova Zelanda che pare chiudere il match. Ma neanche gli All-Blacks possono distrarsi, e se lo fanno vanno subito in difficoltà. Carter fallisce la conversione, l’Australia riesce a entrare nei 22 avversari per la prima volta nel match, ma soprattutto al 48′ Ben Smith si prende un cartellino giallo, il primo della storia delle finali mondiali, per un placcaggio non regolare piuttosto violento, per di più effettuato a pochi metri dalla linea di meta. L’Australia deve rinviare l’esultanza però solo di pochi istanti. Alla ripresa del gioco infatti Pocock guida la maul a sfondare le linee nemiche e terminare con l’agognata segnatura, trasformata da Foley. L’uomo in meno si fa sentire e la Nuova Zelanda ora accusa il colpo, l’Australia rinfrancata attacca a testa bassa e mette in difficoltà la retroguardia nera, finché al 64′ non arriva l’azione giusta. Genia l’avvia con un bel calcio e Foley la rifinisce con lo scarico per Kuridrani che così riapre il match. Foley converte, e improvvisamente abbiamo una partita, 21-17.

A chiuderla di nuovo è Carter con la giocata che cambia di nuovo l’inerzia del match. Non ha il pathos di quello di Wilkinson nel 2003, che arrivò nei supplementari e fu il colpo risolutivo del match, ma è comunque un altro drop destinato a passare alla storia di questo sport. Gran colpo di classe dell’apertura che calcia di rimbalzo e a 10 minuti dalla fine rimette a +7 gli All Blacks. L’Australia si fa quindi prendere dalla frenesia, pecca di disciplina e al 75′ concede un’altro calcio piazzato a Carter che ovviamente non si fa pregare e scrive il +10. Non è ancora finita perché i giallo-verdi con grande generosità si gettano in avanti cercando la meta della disperazione a tre minuti dalla fine, ma perdono palla e Barrett dà un saggio di velocità superando di slancio e staccando tutta la retroguardia australiana quasi fosse un centometrista (ovviamente era anche più fresco essendo entrato da poco) e poi anche di tecnica da calciatore, con un perfetto stop a seguire (con la complicazione non da poco che qui la palla è ovale e non sferica) si prolunga l’azione e in solitaria va a schiacciare in mezzo ai pali, lasciando a Carter l’elementare conversione del 34-17. Mancano 20 secondi, il tempo di sparare la palla in tribuna e di far iniziare la festa della Nuova Zelanda.

Quello degli All Blacks può apparire un successo annunciato ma per questo motivo assume ancora più valore. La squadra non ha dimostrato soltanto quella supremazia tecnica e fisica che da sempre tutti le riconoscono, ma è riuscita a emergere anche in quelle partite, vedi la semifinale con il Sudafrica (bronzo dopo aver superato 24-13 ieri l’Argentina), in cui la situazione si era complicata e il match si era trasformato in una vera e propria palude piena di insidie. In passato non sempre era successo e in questo c’è molto merito anche dell’allenatore Hansen, che ha attinto alle sue esperienze maturate anche in Europa. É stata una squadra che ha saputo ben mescolare i vecchi campioni come Carter e McCaw con i nuovi fenomeni quali Savea e Milner-Skudder e questo trionfo corona quattro anni tra le due World Cup vinte nei quali agli avversari sono rimaste giusto le briciole.

Cala così il sipario su questo mondiale inglese che ha sancito un momento di grave difficoltà del rugby europeo, ha portato le quattro formazioni del Rugby Championship in semifinale, ha visto la clamorosa eliminazione dei padroni di casa già al primo turno e ha fatto capire che per l’Italia il momento del salto di qualità è ancora lontano. Per confermare, smentire o invertire queste tendenze ci saranno adesso quattro anni, prima della prossima Coppa del Mondo che si disputerà in casa di una delle realtà che stanno emergendo con maggiore impeto nel panorama mondiale, quel Giappone che senza dubbio è stata la miglior squadra in assoluto tra le eliminate al primo turno.

Nuova Zelanda – Australia 34-17

Marcature: 8′ cp Carter (NZ), 14′ cp Foley (A), 27′ cp Carter (NZ), 36′ cp Carter (NZ), 39′ m. Milner-Skudder tr. Carter (NZ), 42′ m. Nonu (NZ), 53′ m. Pocock tr. Foley (A). 64′ m. Kuridrani tr. Foley (A), 70′ dg Carter (NZ), 75′ cp Carter (NZ), 79′ m. Barrett tr. Carter (NZ)

Nuova Zelanda: Moody (59′ Franks), Coles (65′ Mealamu), Franks (54′ Faumuina), Retallick, Whitelock, Kaino (71′ Vito), McCaw (80′ Cane), Read, A. Smith (71′ Kerr-Barlow), Carter, Savea, Nonu, C. Smith (40′ Williams), Milner-Skudder (65′ Barrett), B. Smith.

Australia: Sio (59′ Slipper), Moore (55′ Polota-Nau), Kepu (59′ Holmes), Douglas (15′ Mumm), Simmons, Fardy (60′ McCalman), Hooper, Pocock, Genia (70′ Phipps), Foley, Mitchell (66′ Toomua), Giteau (26′ Beale), Kuridrani, Ashley-Cooper, Folau.

Note: 52′ giallo per B. Smith

Nella foto: McCaw alza la Coppa del Mondo (foto da rugbyworldcup.com)