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Dideriksen è la nuova campionessa del mondo: battute Wild e Lepistö, Bastianelli 5^

Foto da Twitter UCIWomen

Amalie Dideriksen era una predestinata, non si vincono altrimenti entrambe le edizioni dei Mondiali nel proprio biennio da junior, a Firenze e Ponferrada, come solo Cooke e Garner avevano saputo fare in precedenza, la prima sul percorso più duro che si ricordi per la categoria, la seconda poche settimane dopo un grave infortunio subito in pista a Seul, dove tra l’altro per non sbagliare si era portata a casa pure un altro iride nello scratch. E questo senza dimenticare tutti gli altri numeri d’alta scuola regalati in categoria, tipo l’assolo di Cittiglio.

Eppure che il destino di vederla laurearsi campionessa del Mondo si concretizzasse già in questo 2016, al secondo anno da élite, nessun elemento, tranne il suo smisurato talento, lo lasciava presagire. L’impatto con la massima categoria, infatti, era stato sì buono, ma non sfavillante come ci si sarebbe potuti attendere. Insomma, fatte salve le difficoltà sempre notevoli del salto, negli ultimi anni abbiamo visto diverse ventenni ottenere risultati che fino a ieri erano migliori di quelli conseguiti in questo primo biennio dalla danese, che comunque aveva dato un gran segnale 40 giorni fa vincendo la prima tappa del Boels Rentals Tour. Da questo punto di vista va detto che l’essere passata subito con la squadra più forte del lotto, la Boels Dolmans, se da un lato le ha dato la possibilità immediata di misurarsi al massimo livello, di godere di mezzi e di condizioni migliori rispetto a quelli che avrebbe avuto in una piccola compagine e di poter fare esperienza in corse e con compagne di altissimo livello, dall’altro l’ha spesso costretta in ruoli di gregariato che non le hanno permesso di emergere in prima persona, vedi ad esempio l’ultimo Giro d’Italia, dove in supporto a Guarnier e Stevens dimostrò un’ottima gamba. Però il fatto che la Danimarca nel ranking internazionale dell’ultimo anno avesse mancato la qualificazione olimpica, superata da paesi come Cipro e Israele, senz’altro in crescita ma di certo non potenze del pedale, e che a portare una medaglia internazionale alla federazione scandinava era stata Cecilie Uttrup Ludwig agli Europei di Plumelec, erano segnali di un potenziale che ancora, senz’altro più che comprensibilmente, non era stato espresso. E vederlo esplodere tutto in un colpo in una maniera così eclatante come può essere la vittoria di un mondiale è qualcosa senza dubbio di sorprendente, come lei stessa ha confessato a fine gara, talmente incredula da non alzare neppure le mani dopo aver tagliato il traguardo, sperando che questo titolo sia il viatico verso la piena espressione di tutte le sue doti, e allora nei prossimi anni quest’atleta potrà regalarci momenti di grandissimo ciclismo, e di contro che non sia arrivato troppo presto, a spezzare con uno scarto repentino un percorso di crescita graduale che forse sarebbe stato più formativo.

Dideriksen ha bruciato proprio negli ultimi 50 metri Kirsten Wild, la signora delle volate in Qatar che però stavolta si è dovuta accontentare del secondo posto. Nonostante la medaglia, non ci può essere soddisfazione nel clan neerlandese e la stessa velocista, che il prossimo anno passerà dalla Hitec alla Cylance, non ha nascosto la delusione a fine gara. Un po’ perché su un arrivo del genere, una volta lanciata in testa la volata, vedere Wild venire rimontata è l’ultima cosa che ti aspetti, molto perché i Paesi Bassi hanno lavorato tantissimo per tutta la corsa, ma la loro condotta di gara è stata ai limiti dell’incomprensibile. E questo va detto è un cliché che ormai si ripete quasi a ogni mondiale. La squadra oranje, che avendo la velocista più forte avrebbe potuto “limitarsi” a controllare la corsa, dall’alto di un roster formidabile, per poi finalizzare in volata, invece a partire dai 70 km all’arrivo, ha iniziato ad animare la corsa con una serie di attacchi pancia a terra da parte delle sue atlete. Tutte a turno, ora Vos, ora Pieters, ora Van Vleuten, ora Van Dijk, ora Blaak, ora Van der Breegen si sono fatte vedere al comando. Tutto molto bello per lo spettacolo e per chi guardava, ma il problema è stato che non erano azioni coerenti, si partiva alla garibaldina, senza una logica di fondo, tipo organizzare contropiedi, fare buchi alle compagne, stoppare le inseguitrici, che hanno finito con i continui cambi di ritmo per far accumulare acido lattico a Wild, che tra l’altro era anche caduta a inizio gara, contribuendo a imballarla per la volata, e infine che, arrivati ai 40 dall’arrivo, le neerlandesi si sono spostate, facendo riaddormentare la gara e permettendo anche alle non molte atlete staccatesi di poter rientrare in gruppo. Dettaglio non trascurabile, tra l’altro, tra queste c’era pure Dideriksen, che era rimasta dietro per un guaio meccanico. Infine, i Paesi Bassi hanno impostato la volata, qui sì mettendo in mostra un treno di altissima qualità, ma visti i nomi coinvolti non c’erano dubbi, a bloccare tutti i tentativi di fuga, con Vos a lanciare la volata in maniera impeccabile a Wild, la quale tuttavia non è riuscita a finalizzare questo lavoro. L’unica spiegazione logica che ci viene in mente per questa tattica all’apparenza schizofrenica è che, per poter gestire tutte le fenomenali individualità presenti in squadra, il c.t. neerlandese abbia dato una sorta di via libera a tutte nelle fasi iniziali e centrali di gara, per poi concentrarsi sulla volata solo negli ultimi chilometri. Ma fosse davvero così, se la struttura tecnica non ha la personalità per gestire tante campionesse, forse è meglio optare per convocazioni che comportino anche esclusioni impopolari, ma producano collettivi più coesi.

La terza posizione è andata a Lotta Lepistö, e questo è un fatto storico. Si tratta infatti della prima medaglia in assoluto della Finlandia in 89 edizioni del Mondiale su strada, tenendo conto di tutte le categorie. È un risultato senza dubbio meritato, per una ragazza che ha saputo crescere anno dopo anno, fino ad affermarsi come una delle migliori velociste del gruppo, come testimoniano il secondo posto alla Course e la vittoria World Tour nella quinta tappa dell’Aviva e che, pur dovendo correre praticamente da isolata, si è mossa con grande intelligenza, facendosi trovare sempre al posto giusto negli ultimi 10 km.

Un passo fuori dal podio, si è dovuta accontentare del quarto posto la campionessa uscente Lizzie Armitstead, che si è gettata nella mischia, nonostante non sia certo una velocista pura, portando a casa un piazzamento più che buono. Segnalato che la maglia iridata permane comunque in casa Boels, finale degno di una stagione dominata in lungo e in largo dalla compagine neerlandese, diciamo anche che la Gran Bretagna ha corso piuttosto bene. Partita con otto atlete, molte delle quali però si sapeva già dalla partenza non sarebbero potute essere protagoniste, oltre alla capitana, che si è anche mossa in prima persona per marcare Vos in un paio di occasioni, anche Dani King si è messa in evidenza con una bella accelerazione nel corso dell’ultimo giro.

Quinta ha concluso la migliore delle azzurre, Marta Bastianelli. Per l’Italia, che ha perso Giorgia Bronzini prima del via per un’indisposizione fisica che l’ha costretta al forfait quando non c’era più tempo per schierare una riserva, è stato un buon mondiale. Le ragazze di Salvoldi hanno corso bene, si sono mosse con i tempi giusti, hanno marcato praticamente tutti i tentativi di attacco delle neerlandesi, con Guarischi, con Confalonieri e con una Longo Borghini particolarmente pimpante, notevole l’accelerazione per andare a riprendere King nel finale. Nel finale un colpo di sfortuna ha rallentato il treno azzurro, con Elena Cecchini che su un dosso ha fatto un miracolo per evitare la caduta, però questo ha fatto scomporre le azzurre, con l’ottima Guderzo che è rimasta davanti da sola e Bastianelli riportata sotto da una bella trenata di Confalonieri. Un imprevisto che però è costato un consumo energetico e una posizione meno favorevole alla laziale nello sprint finale. L’iridata di Stoccarda ha comunque fatto una bella volata, centrando un piazzamento importante che vale all’Italia l’ottava top five consecutiva in un campionato del Mondo, conferma della forza del movimento, almeno da un punto di vista tecnico. Nessuna nazione in questo periodo ha saputo far meglio.

Sesta posizione per la transalpina Roxane Fournier, le maglie della Francia non si sono mai viste, ma la portacolori della Poitou Charentes ha confermato il suo livello, con un risultato in linea con i piazzamenti nelle volate importanti raccolti per tutto l’anno. Dietro si lei ha chiuso settima Chloe Hosking, la vera e grande delusione del Mondiale assieme a tutta l’Australia. Partita con i favori del pronostico, frutto di una stagione fantastica, iniziata vincendo proprio al Giro del Qatar, proseguita per Chongming Island, tappa al Giro, La Course e da ultimo il bel successo al Gp Beghelli, mostrando anche un’insospettabile tenuta in salita, l’australiana ha probabilmente pagato una condizione troppo anticipata e risultata in calo a ottobre inoltrato. La nazionale down under si è vista pochissimo, un paio di giri in testa per Garfoot a tirare, ma in generale sono state anche abbastanza latitanti nel controllare la corsa e nel finale non sono riuscite a impostare un treno minimamente efficace, vedendo così sfumare un’occasione forse più unica che rara per iscrivere il nome della propria velocista nell’albo d’oro del mondiale.

Molto brava Sheyla Gutierrez, ottava e seconda nella platonica classifica delle under 23, dietro ovviamente alla vincitrice. La spagnola quest’anno aveva già colto qualche piazzamento nelle gare in cui aveva avuto via libera e si conferma un prospetto molto interessante tra le giovani passiste veloci, regalando tra l’altro alla Spagna il miglior piazzamento e la prima top ten in un mondiale dai tempi del settimo posto di Marta Vilajosana a Varese 2008. A completare la top ten sono Joelle Numainville nona per il Canada e Jolien D’Hoore decima, con la belga tra le più accreditate per una medaglia invece apparsa molto sottotono, tanto più che il Belgio, in particolare con Anisha Vekemans, aveva lavorato tantissimo durante tutta la corsa. Uno sforzo forse fatale perché ha impedito all’atleta medagliata a Rio nell’omnium di poter usufruire poi di un treno importante.

La prima ad animare la corsa era stata la giapponese Eri Yonamine, scattata quando ancora si era nel tratto di trasferimento per raggiungere Pearl da Doha. Dopo l’ingresso nel circuito, la nipponica era stata raggiunta dalla svizzera Nicole Hanselmann, con l’israeliana Bash che aveva provato senza successo a riagganciarsi. Riprese le battistrada sulla scia degli attacchi dei Paesi Baesi, la fase centrale di corsa è stata molto divertente, con decine di scatti, nessuno dei quali però durato più di qualche centinaio di metri. Alla fine, da questa situazione, è emersa Amber Neben, che si è ritrovata al comando da sola senza trovare alcun aiuto. La campionessa del mondo a cronometro non si è certo risparmiata, arrivando ad avere un vantaggio nell’ordine del minuto, poi però, sotto la spinta soprattutto del gran lavoro belga e della stanchezza, il gap si è via via ridotto fino ad annullarsi. Il finale poi è stato caratterizzato dal treno dei Paesi Bassi, fino alla volata decisiva, con Dideriksen brava a battezzare la ruota di Wild e poi fantastica nel superarla negli ultimi 50 metri.

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